Cosa cambia con la legge 28 aprile 2014 n. 67

 


Uno sguardo alla legge 28 aprile 2014, n. 67

La LEGGE 67-2014 ha introdotto consistenti innovazioni all’interno della disciplina penalistica, istituendo nuove disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova, nei confronti degli irreperibili e delegando al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Si prosegue in questa sede, dunque, ad un’analisi del menzionato testo legislativo.

Reclusione ed arresto domiciliare

Il capo I, art. 1 della legge delega al Governo di adottare uno o più decreti legislativi per riformare l’attuale sistema sanzionatorio. Tra i principi che il legislatore indica al potere esecutivo, vi è quello per cui le pene principali siano:

-          l’ergastolo

-          la reclusione

-          la reclusione domiciliare

-          l’arresto domiciliare

-          la multa

-          l’ammenda

In particolare, è stata nel concreto consigliata l’espulsione dal nostro ordinamento della pena dell’arresto in carcere almeno in via principale.

La legge delega consente, infatti, di istituire l’arresto da espiarsi presso l’abitazione del contravventore  o in «altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, di seguito denominato ‘domicilio’» a fronte di ogni condanna relativa ad una contravvenzione, che fino ad oggi è sempre stata punita con l’arresto in istituto detentivo.

Questa previsione ha ovviamente una positiva potenzialità deflattiva, che permetterebbe di non occupare le carceri di persone che devono espiare una pena di modestissima durata.

La suddetta ratio sembra sia quella che ha ispirato un po’ tutta la normativa.

Nello stesso articolo è, infatti, prevista anche la sostituzione automatica con la reclusione domiciliare per tutti quei reati puniti oggi con la reclusione per una durata massima di tre anni (art. 1, comma2, lett. b)).

È inoltre indicata la facoltà per il giudice di cognizione di disporla anche in sostituzione alle pene detentive che vanno da i tre ai cinque anni, tenuto conto dei criteri indicati dall’art. 133 c.p. (art. 1, comma 2, lett. c)).

Le modalità con cui il giudice potrà attuare la reclusione o l’arresto domiciliare sono le stesse già previste dall’art. 275-bis c.p.p., attinenti alla misura cautelare degli arresti domiciliari.

Alla concessione di tali istituti si contrappongono delle cause ostative di duplice natura:

–         Oggettiva = le disposizioni esposte (art. 1, lett. b) e c)) non si applicano nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 105 e 108 c.p., ovvero nei confronti dei delinquenti c.d. abituali, delinquenti o contravventori professionali e dei delinquenti per tendenza. Si noti fin da subito che, invece, la pena dell’arresto domiciliare è concedibile al contravventore abituale ex art.104 c.p.

–         Soggettiva = Il giudice dovrà sostituire la reclusione o l’arresto domiciliare con la reclusione o l’arresto in carcere, qualora non risulti disponibile un domicilio idoneo ad assicurare la custodia del condannato, ovvero quando il comportamento del condannato risulti incompatibile con la prosecuzione delle prime, per la violazione delle prescrizioni imposte ex art. 275-bis c.p.p. o per la commissione di ulteriore reato, anche tenendo conto delle esigenze della persona offesa dal reato.

Altro punto molto interessante, che si rinviene dalla lettura dell’art. 1, è che il giudice, sentiti l’imputato e il pubblico ministero, può applicare la sanzione del lavoro di pubblica utilità in aggiunta a quelle previste dalle lettere b) e c), allargando, dunque, tale misura ai condannati per pene detentive della durata massima di 5 anni.

Una previsione simile, la cui attuazione è lasciata in capo alla discrezionalità del giudice, sembra ispirarsi al dettato dell’art. 27, comma 3, Cost.

Il lavoro di pubblica utilità potrà essere assegnato discrezionalmente tenendo conto delle esigenze rieducative del singolo soggetto, indipendentemente dal tipo di reato commesso, e non è più limitatamente al soggetto tossicodipendente o al reato per guida sotto stato di ebrezza.

L’art. 1 istituisce, infine, una nuova forma di causa di non punibilità: disponendo che il giudice escluda la punibilità delle condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pena detentiva di durata non superiore nel massimo a 5 anni, laddove sussistano congiuntamente il presupposto della particolare tenuità dell’offesa conseguita e della non abitualità del comportamento.

L’articolo esaminato sopra, mostra l’intenzione del legislatore di prendere veramente a cuore la finalità rieducativa a cui deve tendere una pena, soddisfacendo le esigenze di deflazione della popolazione carceraria con mezzi che tengano anche conto appunto dell’art. 27, comma 3, Cost. ed aggiungendo nuove tecniche  a quelle utilizzate finora dell’indulto o della grazia.

Depenalizzazioni

All’art. 2 della legge posta sotto la nostra lente d’ingrandimento, il Parlamento dispone un’ulteriore delega al Governo, questa volta però finalizzata ad una vasta depenalizzazione e decriminalizzazione di molte fattispecie presenti nel codice penale.

Tuttavia, sembra poco utile passare alla rassegna le singole fattispecie di reato che vengono mutate in sanzioni amministrative e civili o che vengono abrogate da questa norma. Si rimanda, per far ciò, alla lettura del testo legislativo.

Il Capo II ed il Capo III della legge 67 del 2014 sono quelli che si possono definire rivoluzionari in campo penalistico, in quanto non si limitano a delegare al Governo, ma istituiscono delle vere e proprie innovazioni in materia.

Messa alla prova anche per i maggiorenni

Il Capo II, in particolare, introduce l’istituto della sospensione del processo penale con messa alla prova in capo alle persone adulte. L’istituto, infatti, era finora previsto solamente per gli imputati minorenni.

L’art. 3 l. 67/2014 introduce all’interno del codice penale gli artt. 168-bis, 168-ter, 168-quater, i quali prevedono che nei procedimenti

–        per i reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria;

–        per i delitti indicati dal comma 2 dell’art. 550 c.p.p.: violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, resistenza a un pubblico ufficiale, oltraggio a un magistrato in udienza aggravato, violazione di sigilli aggravata, rissa aggravata, furto aggravato e ricettazione

l’imputato possa chiedere la sospensione del processo con messa alla prova, ovvero con prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato nonché, ove possibile, al risarcimento del danno dallo stesso cagionato. La messa alla prova comporterà l’affidamento dell’imputato ai servizi sociali  e sarà subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità.

Suddetta sospensione

–        sospende anche il corso della prescrizione e

–        l’esito positivo della messa alla prova estinguerà il reato,

mentre:

–         in caso di grave o reiterata trasgressione alle prescrizioni imposte;

–         in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non            colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede

il giudice procederà subito a disporne la revoca.

Non potrà, invece, mai beneficiare dell’istituto in analisi:

–         colui il quale ne ha già giovato una volta;

–         colui il quale sia stato dichiarato delinquente abituale ex artt. 102, 103 o 104           c.p.;

–         colui il quale sia stato dichiarato delinquente professionale ai sensi dell’art. 105 c.p.;

–         colui il quale è stato dichiarato delinquente per tendenza ai sensi dell’art. 108 c.p.

A quanto stabilisce l’art. 464-bis c.p.p., così come modificato dalla presente legge,  l’imputato può presentare l’istanza oralmente o per iscritto fino a che non siano formulate le conclusioni ex art. 421 e 422 c.p.p., a meno che:

–        non ci si trovi in un giudizio direttissimo o in un procedimento di citazione diretta a giudizio, dove il termine sarà prolungato fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado;

–        non venga notificato decreto di citazione diretta a giudizio, in questo caso si dovrà presentare l’istanza depositandola nella cancelleria del GIP con prova di avvenuta notifica entro 15 giorni dalla ricezione di quest’ultima;

–        non ci si trovi in un procedimento per decreto, nel quale la richiesta di sospensione sarà presentata con l’atto di opposizione.

L’istanza dovrà contenere in allegato anche un programma di trattamento elaborato d’intesa dall’imputato con l’Ufficio penale di esecuzione esterna riguardante le modalità di coinvolgimento dell’imputato, le prescrizioni comportamentali e le condotte volte a promuovere la mediazione con la persona offesa. Questo programma potrà essere modificato dal giudice solamente con il consenso dell’imputato.

Una volta presentata la richiesta il giudice trasmette gli atti al pubblico ministero, il quale esprimerà consenso o dissenso. Il parere del pubblico ministero, tuttavia, non potrà essere completamente ostativo per la sospensione con messa alla prova, poiché in caso di dissenso (il quale dovrà sempre essere motivato), l’imputato potrà ripresentare la richiesta prima dell’apertura il dibattimento ed il giudice decidere di accoglierla comunque.

Quando il giudice accoglie la domanda di sospensione con messa alla prova lo fa con ordinanza emessa in udienza, sentite le parti e la persona offesa, a meno che non debba emettere sentenza ex art. 129 c.p.p.

L’ordinanza in questione è ricorribile in cassazione dall’imputato e dal pubblico ministero e l’impugnazione non sospende il procedimento. L’impugnazione potrà provenire anche dalla persona offesa in persona, se sia stato omesso l’avviso dell’udienza o il giudice non l’abbia sentita.

I criteri in base ai quali il giudice dispone la sospensione con messa alla prova sono i seguenti:

–         i parametri ex art. 133 c.p.;

–         l’idoneità del programma di trattamento allegato all’istanza;

–         l’esclusione dell’ipotesi che l’imputato possa commettere altri reati.

Il procedimento, tuttavia, non potrà essere sospeso per più di due anni, di un anno se si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria.

Una volta emessa l’ordinanza, questa è trasmetta all’ufficio di esecuzione penale esterna che prenderà in carico l’imputato e durante la sospensione il giudice potrà in qualsiasi momento, sentiti l’imputato e il pubblico ministero, modificare le prescrizioni originarie.

Decorso il periodo di sospensione il giudice valuterà la messa alla prova:

–         se essa avrà avuto esito positivo, il reato sarà dichiarato estinto con sentenza;

–         altrimenti il processo riprenderà il suo corso.

Irreperibilità e contumacia

Il Capo II della legge 63 del 2014 introduce importanti modifiche sulla disciplina nei confronti degli irreperibili ed elimina l’istituto della contumacia.

Oggi, a meno che l’imputato

–        non sia assente per sua espressa rinuncia o

–        vi sia la certezza che lo stesso sia a conoscenza del procedimento o si sia volontariamente sottratto alla conoscenza dello stesso o di atti del medesimo,

il giudice rinvia l’udienza e dispone che l’avviso sia notificato all’imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria. Quando questa notificazione non risulta possibile, e sempre che non debba essere pronunciata sentenza ex art. 129 c.p.p., il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo nei confronti dell’imputato assente. Durante questa sospensione il giudice acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili ed alla scadenza di ogni anno, o comunque quando ne ravvisa l’esigenza, dispone nuove ricerche dell’imputato per la notifica dell’avviso. I termini di prescrizione saranno sospesi contestualmente, ma tale sospensione non potrà durare oltre il limite previsto all’art. 161, comma 2, c.p.

Nelle ipotesi in cui l’imputato non presenzia all’udienza

–        per espressa rinuncia o

–        quando comunque vi sia una presunzione sulla certa conoscibilità del procedimento da parte sua o sulla volontarietà della sottrazione alla conoscenza dello stesso,

il giudice procederà in sua assenza e lo stesso non sarà più dichiarato “contumace”, ma appunto “assente”.

Le presunzioni menzionate nel secondo punto possono essere di qualsiasi tipo, infatti, il codice ne elenca alcune (es. aver eletto domicilio o aver nominato difensore di fiducia), ma lascia al giudice la discrezionalità di presumere la conoscibilità del processo o la volontarietà di un eventuale rinuncia ad assistervi.

Sulla carta questo insieme di innovazione può far ben sperare i giuristi in dei miglioramenti, anche se desta sicuramente qualche perplessità la nuova disciplina sull’imputato irreperibile.

Nel frattempo si possono solo aspettare le prossime osservazioni della dottrina ed attendere di scoprire come gli istituti esposti saranno in grado di adattarsi alla quotidiana routine dei nostri Tribunali.

Trieste, 25 giugno 2014.

Dott. Nicolò Cusimano

Pubblicato in Penale